DIE HEILIGE FILUMENA

Selbstzeugnis der Heiligen Filumena

Maria Luisa di Gesù (1799-1875), die Priorin eines Klosters in Neapel, hatte im Jahr 1833 eine erste Mitteilung der Märtyrin erhalten, in der als Datum ihres Todes der 10. August genannt wurde. Einige Zeit später gab Filumena ihr eine ausführliche Beschreibung ihrer Leidensgeschichte. Am Ende wiederholt Filumena dieses Datum und fügt hinzu, dass sie ihren Tod an einem FREITAG Nachmittag (il decimo di agosto di Venerdì) um halb vier Uhr erlitt.

Die folgende Übersetzung, nach der erstmaligen Veröffentlichung von 1833 durch den Priester Francesco di Lucia (1772-1847) meist fehlerfrei angefertigt, ist erstmals bei Joseph Rauchenbichler 1837 nachweisbar und von späteren Autoren unverändert als ihre eigene übernommen worden. Es ist leider keine vollständige modernere verfügbar. Ich füge das italienische Original hinzu.

 

 

 

Il Testo Italiano Originale

Io, cara sorella, sono figlia di Re di un dominio della Grecia, e mia Madre era anche di sangue Regale, ma non avevano prole, perciò facevano continui sacrificii e preghiere ai loro falsi numi. Viveva in nostra famiglia un Medico Romano di nome Publio, ora santo in Cielo, ma non martire; questo compassionando la loro cecità e afflizione per la sterilità di mia povera madre, spinto dallo Spirito Santo, fu incoraggito a parlar loro della nostra fede e promise la prole, se avessero ricevuto il S. Battesimo, La grazia, che accompagnò le sue parole, illuminò la loro mente e ammollì i loro cuori e si fecero Cristiani e dopo poco tempo concepì mia Madre; ed io nacqui a capo dell anno, ai 10 di gennaro, e fui chiamata Lumena, perchè concepita e nata nella luce della fede, alla quale assai si erano affezionati i miei genitori; quando poi fui battezzata, fui chiamata Fi-lumena, figlia della luce, che stava nell'anima mia per la grazia già ricevuta del Battesimo.

Era assai l'affetto e somma la tenerezza, che mi portavano i miei genitori, e specialmente mio Padre, il quale non poteva stare un'ora senza di me, e per questo motivo fui portata in Roma, essendo di anni 13 terminati a gennaro, e fu nell'occasione di una guerra intimata a lui ingiustamente dall'orgoglioso Diocleziano, per manifesta prepotenza.

Mio povero Padre vedendosi assai inferiore di forze, si portò in Roma per venire a qualche patto di pace e seco portò mia Madre per mia compagnia e cercò udienza dal Tiranno, e quando l'ebbe, portò anche noi, me e mia Madre, a Palazzo.

Ivi mi guardava fissamente Diocleziano, e mentre mio Padre si giustificava con calore ed affanno su l'ingiustizia della guerra a lui mossa, disse l'Imperatore:

"Non più vi affannate, sono finite tutte le vostre angustie, consolatevi, voi avrete tutte le forze dell'Impero a vostra protezione, purché acconsentirete ad un solo patto, ed è, di darmi la vostra figlia Filomena per mia sposa."

Fu accettato il patto da miei poveri genitori, e in casa mi persuadevano della mia somma sorte di essere Imperatrice di Roma. Io subito rifiutai l'offerta, dicendo, che era obbligata a G. C. nostro Dio per voto di verginità sin dall'undecimo anno di mia vita.

Mio Padre voleva persuadermi, ch'essendo fanciulla e figlia, non poteva disporre di me, e con forte autorità mi offeriva l'accettazione delle nozze, e sdegnoso mi minacciava, ma il mio divino Sposo mi diè fortezza al rifiuto assoluto, che io gli diedi.

Mio Padre si trovò imbarazzato assai a cagione della mia negativa, che prese l'Imperatore per pretesto di malafede e scusa d'inganno, e per assicurarsi disse:

"Portatemi alla mia presenza la Principessa Filomena, e vedrò io, se posso capacitarla."

Venuto in casa a prendermi e non potendo persuadermi mio Padre ad acconsentire all'Imperatore dopo le carezze e le minacce, s'inginocchiò piangendo con mia Madre, e mi dissero:

"Figlia, abbi pietà di noi, tuoi genitori, abbi pietà della Patria e del Regno".

Ed io risposi:

"Mi preme più Dio e la Verginità che Voi; il mio Regno e la mia Patria è il Cielo."

In questa tempesta di affanni convenne cedere all'Imperatore e portarmi mio Padre a quello, il quale mi trattò sul principio con onore, affetto e promesse, e nulla ottenne. Venne alle minacce, e neppure la vinse, e con furia e rabbia accesa dal Demonio, mi fece inserrare in un profondo carcere, che stava sotto le stanze dell'armaria del Palazzo Imperiale.

Ivi fui incatenata, e posti i ceppi alle mani e piedi per farmi cedere alle nozze da esso bramate al sommo per opera del nemico infernale, dal quale era governato il suo pessimo cuore acceso da quel mostro con fiamme lascive.

In ogni 24 ore veniva a tentarmi, mi faceva sciogliere per darmi un poco di pane e di acqua, e di nuovo mi tormentava; ed alle volte faceva atti immodesti per accendere la mia concupiscenza, ma il mio Sposo mi custodiva. Io poi non cessava a raccomandarmi al mio Gesù e alla sua purissima Madre.

Erano giorni trentasette, e mi comparve la celeste Regina, circondata da luce di paradiso col pargoletto in seno, e mi parlò così:

"Figlia, altri tre giorni dovrai soffrire di carcere, e dopo 40 giorni uscirai da questo luogo penoso."

A queste prime parole fui animata da festevole gioia; e poi mi disse:

"E uscita sarai esposta ad una fiera battaglia di atroci tormenti per mio Figlio."

A questa notizia tremai e mi viddi nelle angustie di morte, ma la celeste Regina m'incoraggi, così dicendomi:

"Figlia mia diletta più delle altre, perchè porti il nome di mio Figlio e mio; tu ti chiami Lumena, mio Figlio, tuo sposo, ha il nome di Luce, di Stella, di Sole, io mi chiamo Aurora, Stella, Luna piena e Sole, io ti ajuterò. Ora è la debolezza della natura, che ti umilia, allora avrai la fortezza della Grazia, che ti assisterà, ed avrai oltre l'Angelo tuo Custode, l'Arcangelo S. Gabriele, che significa Fortezza, che fu in terra il mio Custode, che io manderò in tuo soccorso, come a mia dilettissima tra le altre figlie."

Così incominciai a ravvivarmi, e sparì la visione, restando nel carcere molto odore, che più mi sollevò.

Finalmente disperando Diocleziano di tirarmi al suo sentimento, si appigliò al mezzo delli tormenti, per allimorirmi e di farmi retrocedere dalla mia verginale fedeltà al mio Sposo, perciò mi fece nuda ligare ad una Colonna in presenza di molti suoi Cavalieri ed altri militari del suo Palazzo, e poi mi fece flagellare, dicendo:

"Giacché rifiuta ostinatamente un'imperatore, quale son'io, per un malfattore condannato dalla sua gente a morte, merita come quello essere trattata dalla mia giustizia."

Vedendo poi il Tiranno che il mio corpo era coverto di piaghe e sangue, e poche ore mi restavano di vita e costante nella mia fede, mi condannò a farmi spirare nella prigione, ove di nuovo fui strascinata.

Stava desolata aspettando la morte per riposarmi nel mio Sposo, mi compariscono due Angeli pieni di luce, i quali con prezioso unguento mi unsero, e subito mi guarirono meglio di prima.

Nella mattina seguente, sapendo ciò l'Imperatore, si stupidì, e nel vedermi più bella e sana alla sua presenza, mi voleva far credere, che era stato il suo Giove, il quale mi voleva assolutamente Imperatrice Romana, e mi fece onori e carezze guidato dal Demonio con fiamme più ardenti d'impuro affetto, per tirarmi all'intera rovina; ma io io convinsi, e lo assicurai dell'inganni infernali, illuminata dallo Spirito S. che calò in me nelle mie battaglie, e non sapendo, che rispondere con i suoi assistenti alle mie ragioni a favore della Fede, stizzito come un Leone ordinò, che subito con un'Anchora di ferro ligata al collo fossi gittata, annegata e sepolta viva nel Tevere, e fosse così perita per sempre la mia persona e memoria. Ma Gesù per far pompa della sua Onnipotenza a confusione del Tiranno e dell' idolatri, mandò di nuovo i due bellissimi Angeli, che nel cadere spezzarono subito la corda e l' Anchora cadde nel fondo del Tevere, ove presentemente ancora esiste coverta di terra, ed io fui portata su le loro ali, e uscii senza essere toccata da una stilla di acque.

Nel vedermi il popolo così gloriosa, sana, senza essere toccata dalle acque, fece bisbiglio, e molti si convertirono alla fede di G. C. Disperato il Tiranno gridava essere opera di mia magìa, e più ostinato di Faraone, mi fece strascinare per mezzo Roma, e poi mi fece sagittare, e quando mi vidde tutta trapassata dai taglienti strali, svenata e moribonda, mi fece per crudeltà di nuovo strascinare in prigione per farmi morire desolata e senza conforto.

Ma l'Onnipotente mi donò un dolcissimo sonno, e svegliata mi trovai sana e bella più di prima. Saputo questo l'Imperatore, sì arrabbiò di furia e crudeltà e ordinò, che ignuda di nuovo fossi trapassata dalle frecce più taglienti sino a che fossi estinta; ma per volere dell'Altissimo, si scoccavano dagli Arcieri li Archi, e le frecce non si movevano dal loro sito, e il Tiranno gridava contro di me, come fossi stata una Maga.

Ordinò, che si fossero le frecce infocate dentro una fornace, credendo così distruggere le mie magìe, e spogliata di nuovo fui esposta a tale condanna; ma il mio Sposo mi liberò da questo tormento col fare rivoltare le infocate saette contro i Sagittarii, e ne morirono sei, e alla vista di quest'altro miracolo tanti altri si convertirono, e il popolo si sollevava a favore della fede.

Il Tiranno temendo altro di peggio, subito mi fece decapitare ...

e così l'anima mia volò tutta gloriosa e pomposa in Cielo y ricevendo dal mio Sposo la corona della Verginità, che tanto mi costò, e mi rese per tante palme di Vittorie assai distinta al suo divino cospetto. Questo giorno tanto per me fortunato fu il decimo di agosto di Venerdì, alle ore diecinnove e mezza, perciò, come dissi, l'Altissimo fece succedere in questo giorno la mia Traslazione in Mugnano con tanti segni di sua celeste assistenza per farla riuscire gloriosa.

 

Questo è quanto ho creduto scegliere dalle scritte notizie che sono molte, e a me comunicate per ubbidienza, ad onore della S. M. per il bene della pietà.

 

 

 

 

Erstellt: Oktober 2021

Hauptartikel